Les deseo todos un 2001 lleno de esperanza


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Abgeschickt von davide sanchez am 26 Dezember, 2000 um 16:06:28


Es una entrevista publicada para un diario italiano, ("Avvenire") que nos permite nuevas esperanzas.
Saludos, companeros,
Davide


La difficile transizione alla democrazia del continente: parla il Nobel per
la pace Perez Esquivel


SOS DAL SUDAMERICA

Fame, esclusione sociale, bambini di strada, possesso della terra: continua
l'emergenza e non si riesce ad uscire dal sottosviluppo «I conti col passato
vanno chiusi con la giustizia e la riconciliazione»

Vincenzo R. Spagnolo

ROMA. «In America Latina stiamo cercando di superare il passato per costruire
il presente. Non c'è altra strada. Soltanto dopo aver fatto i conti con ciò
che siamo stati, potremo guardare al futuro. Tutto dipenderà da noi: quello
che saremo capaci di seminare nei prossimi anni, sarà esattamente ciò che
raccoglieremo». Sono molti anni che l'intellettuale argentino Adolfo Perez
Esquivel s'impegna nel difficile campo della difesa dei diritti umani in
Sudamerica. Un impegno tenace e quotidiano, pagato a caro prezzo con la
tortura nelle carceri argentine degli anni Settanta e sottolineato nel 1980
dall'attribuzione del premio Nobel per la pace. L'immagine che scatta del
proprio continente è quella di un «lugar maravilloso y al mismo tiempo
afligido», un luogo bellissimo ma sofferente: «L'America Latina sta uscendo
dall'epoca delle dittature militari dopo aver pagato un alto costo in vite
umane. In molti Paesi sono in atto processi democratici. Ma non è solo
ponendo il voto in un'urna che possiamo dirci democratici. Democrazia
significa uguali diritti per tutti. E invece è sotto i nostri occhi la
terribile sperequazione fra la condizione di pochi privilegiati e quella,
misera, della maggior parte delle popolazioni locali».

Quali sono oggi le emergenze in Sudamerica?

«Ci sono mali che affliggono l'intero continente: l'aumento della povertà,
l'esclusione sociale, la violenza per le strade e quella strutturale. Su
tutto, incombe come una spada di Damocle l'enorme debito estero che grava su
molti Paesi. Una cosa ingiusta e immorale, perché più paghiamo, più dobbiamo
e meno ci resta. Lo ha sottolineato più volte, dall'alto della sua autorità
morale e spirituale, anche lo stesso Giovanni Paolo II: i popoli di America
Latina, Africa e Asia hanno già pagato molte volte l'ammontare del debito. E
invece gli altissimi interessi sottraggono risorse importanti allo sviluppo.
Inoltre, c'è un'altra bomba silenziosa, che non viene menzionata sui giornali
ma fa più vittime di una guerra».

Quale?

«La fame, che sta facendo stragi in Sudamerica. Servono nuovi concetti di
sviluppo e possibilità di vita per i contadini, da realizzare con progetti
che tengano conto delle realtà locali. Ora, ad esempio, attraverso la
politica degli Stati Uniti, si sta applicando il "Piano Colombia".
Si tratta di ben 1300 milioni di dollari, cifra alla quale ha contribuito
anche l'Unione Europea. Ebbene, io chiederei all'Ue di tirarsi indietro da
questa iniziativa, che mira soprattutto a regionalizzare il conflitto
colombiano nel continente. Ma non si può pensare che il narcotraffico e la
guerriglia siano solo un problema militare o di polizia: il problema della
droga dev'essere controllato nei Paesi dov'è il mercato, con interventi ad
hoc e un'educazione e un'informazione adeguata e non solo confinandolo
laddove oggi avvengono gli scontri e la guerriglia. In Colombia in questo
momento ci sono quasi un milione di profughi interni. Una tragedia
spaventosa, che ci riempie di angoscia e preoccupazione».

C'è qualcosa che i Paesi più sviluppati possono fare per fermare tutto
questo?

«Sembra incredibile, ma in un mondo che si fa sempre più ricco e tecnologico,
vanno aumentando poveri ed esclusi. Anni fa, con don Helder Camara andammo
nel Nord Est del Brasile per sostenere la causa di alcune popolazioni locali
che una multinazionale voleva privare del diritto alla terra. Quando fummo in
tribunale, gli indios issarono un cartello con una grande scritta, perché il
giudice potesse vederla da lontano. Diceva: chi ha comprato la Terra a Dio?
Il Signore ha dato la terra a tutti e non a un piccolo settore della
popolazione mondiale. Lo sfruttamento delle risorse deve essere fatto con
intelligenza e rispetto: gli indios prima di seminare chiedono permesso alla
Terra, le rendono onore perché sanno che, se utilizzata con raziocinio, essa
darà loro aiuto e nutrimento. L'appello del Vaticano sulla necessità di
rispettare la terra e di distribuirne meglio le risorse andrebbe ripetuto nel
nostro continente ogni santo giorno, perché possa diventare pratica
quotidiana dell'operato di chi ha in mano le leve del potere e la gestione
degli sterminati latifondi».

Già, il potere. Molti Paesi latinoamericani stanno attraversando una fase di
delicata transizione: dalle oligarchie militari del passato a regimi più
liberali, ma a volte simili a "democrazie sotto tutela".

«Credo che sia un momento difficile, di transizione appunto. Soprattutto
perché ci sono problemi non risolti: basta vedere ciò che accade in Cile con
Pinochet, la situazione del Perù, la violenza in Colombia. Credo che, per
avviarci pienamente sulla via della democrazia, dobbiamo chiudere i conti col
passato. Questo può avvenire solo facendo giustizia. Non basta dire:
"Bisogna dimenticare il passato". I popoli che dimenticano,
commettono di nuovo gli stessi errori. Come cristiani, siamo chiamati a
ricomporre il corpo sociale e le relazioni personali attraverso la
riconciliazione, il perdono. Ebbene, io posso perdonare coloro che mi hanno
torturato, ma non posso dimenticare. Chi ha sbagliato deve riconoscere la
propria colpa e a questo deve seguire la riparazione del danno. Solo allora,
arriveranno il perdono e la riconciliazione».

Una riconciliazione che potrebbe aprire la strada alla rinascita del
continente?

«Ci sono molti segni di speranza. Sono come fiumi sotterranei, che
all'improvviso potrebbero salire in superficie e cambiare la storia. Il
movimento dei "Sem terra" brasiliani, ad esempio, o gli altri
movimenti indigeni. O ancora le organizzazioni per i diritti umani e quelle
per i diritti delle donne, molto importanti laddove la donna ha sempre avuto
una presenza attiva nella vita sociale, culturale e politica. Ecco, in questa
epoca di globalizzazione che a volte annichilisce le realtà locali, dobbiamo
recuperare l'identità di essere popolo, ritrovare una spiritualità e un senso
di vita comune. Paolo VI ci chiamava il "continente della
speranza". Aveva ragione e continua ad averla ancora oggi, perché
l'America Latina continua ad essere el continente de la esperanza».

Vincenzo R. Spagnolo






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