Il caso Contrada (Capitolo 9 /Pagina 9)
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Il carcere, dunque. Che lei, di fatto, ha vissuto in isolamento:

<<Una parte soltanto. Sono stato per i primi quindici mesi a Forte Boccea, dove c'erano altri detenuti. A Forte Boccea ho trovato molta solidarietà umana, forse perché le guardie non si sentono carcerieri ma militari che per qualche tempo svolgono quell'incarico. Non hanno la mentalità dei secondini. C'è una maggiore disciplina, si instaura un rapporto che non credo esiste nel carcere ordinario. Per non stare male, cercavo di autoconvincermi che per un caso della vita ero stato inviato lì a svolgere un servizio particolare.
Poi, in occasione del processo, sono stato per sedici mesi al carcere di Corso Pisani, a Palermo. Lì ero l'unico e alla sofferenza interiore si è aggiunta anche la solitudine dell'isolamento giudiziario, di un isolamento di fatto. Le guardie erano caporali di leva, bravi ragazzi, educatissimi e da loro ho avuto solidarietà umana>>.

Come trascorreva le giornate?

<<A Forte Boccea la vita era un po' più varia perché c'era il rapporto con gli altri detenuti, la maggior parte di età e grado inferiore a me. Per questo, mi trattavano con un senso di rispetto, mi riempivano di attenzioni. Mi chiedevano se stavo bene, se avevo bisogno di qualcosa, mi invitavano a prendere il sole con loro. Insomma, manifestazioni di solidarietà umana. Ero diventato il consigliere di fiducia per le loro questioni legali, personali, familiari e di salute>>.

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