Il caso Contrada (Capitolo 8 /Pagina 19)
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ACCUSA
-Il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Vito D'Ambrosio, all'udienza del 15 giugno 1994: "Giovanni Falcone era un mio intimo amico e mi confidava spesso i suoi problemi personali e di lavoro. Sul fallitto attentato dell'89 mi disse che era stato un attentato vero e no falso, come qualcuno insinuava. In quell'occasione gli interessi di Cosa nostra si erano saldati con quelli estranei alla mafia. Fu allora che mi disse che non si fidava di Contrada, anche se non mi riferì alcun episodio specifico". -All'udienza del 9 maggio 1995, il sottosegretario agli Interni, Luigi Rossi, già vice capo della Polizia e prefetto di Palermo ha riferito di aver raccolto, durante alcuni colloqui, le "perplessità"di Falcone su Contrada. "Mi espresse una sorta di sfiducia tecnica nei suoi confronti- ha detto Rossi -Nel senso che preferiva assumere informazioni da altri investigatori , come ad esempio Gianni De Gennaro, con cui si trovava a lavorare meglio (...) Nei confronti di Contrada, Falcone non aveva riserve di natura personale ma soltanto motivi di preferenze per altri poliziotti. Sul suo conto, Falcone non mi ha mai detto cose negative ma neanche positive".
A una domanda dell'avvocato Milio, se mai avesse raccolto giudizi negativi su Contrada in tanti anni di attività, Rossi ha detto: "Preferisco non rispondere".
A un'altra domanda della difesa, se gli risultasse che Contrada fosse colluso con la mafia, Rossi ha risposto: "Non ho specifiche notizie sull'argomento".

Nella sua deposizione, il prefetto Rossi ha chiarito che le indagini svolte da Contrada per la cattura del latitante Bernardo Provenzano furono interrotte solo temporaneamente prima del suo arresto e furono poi continuate, nei mesi successivi, da altri funzionari.

DIFESA
-Luigi De Sena, funzionario del Sisde, all'udienza del 17 gennaio 1995: "Falcone non diffidava di Contrada. Nell'89 il direttore del Sisde, Riccardo Malpica, mi incaricò di fare una verifica su queste voci accusatorie. Incontrai Falcone in un albergo romano e mi disse che non c'era nulla di vero".

-Contrada all'udienza del 26 novembre 1994: "Dopo le stragi del '92 ho organizzato a Palermo un gruppo speciale di indagine. Mentre mi trovavo in città appresi da fonte qualificata i numeri di due telefoni cellulari che portavano a Carmelo Garispo, nipote del latitante Provenzano e suo uomo di fiducia. Cominciammo a lavorare su queste informazioni, fra il settembre e l'ottobre del 1992. Ma poi venni arrestato, il gruppo di lavoro fu sciolto e di Provenzano non si seppe più nulla".


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